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Aristotele e l’amicizia (e il marketing)

Aggiornamento: 6 ago

Il titolo può sembrare sacrilego, eppure l’antico pensatore ci lascia una lezione per il buon marketing.


Aristotele, filosofo del IV secolo a.C., periodo cruciale per la nascita del pensiero occidentale è stato allievo di Platone e maestro di Alessandro Magno. Nell’opera cardine sulla filosofia morale, l’Etica Nicomachea, sviluppa la sua riflessione sull’amicizia (philia) come elemento essenziale della vita buona – eudaimonía – e della realizzazione personale e civica.

Il filosofo greco distingue tre tipi di amicizia:


  • per utilità, basata su ciò che si potrebbe ottenere o su ciò che si riceve. Una relazione basata sul reciproco vantaggio. Non è negativa in sé, ma tende a dissolversi quando il bisogno finisce.

  • Per piacere, legata all’intrattenimento. Nasce dalla condivisione di passioni, svaghi, risate. Piacevole, ma fragile: basta che cambino gusti, abitudini o contesto e svanisce.

  • E la più rara, per virtù, fondata sulla stima reciproca, sulla condivisione di valori e sulla volontà di far il bene dell’altro, anche a costo di dire verità scomode.


La terza forma, per Aristotele, è l’unica vera amicizia. Non nasce dalla convenienza, ma dal desiderio del bene per l’altro in quanto persona, non in quanto mezzo.


Faccio tesoro della aristotelica classificazione e provo a sovrapporla al marketing del terzo millennio.


Ogni marchio può coltivare tre tipi di relazioni con il proprio pubblico:

  • Per utilità: quando l’utente è visto solo come potenziale cliente da convertire. C’è un bisogno, si risolve. Fine.

  • Per piacere: quando il brand intrattiene, diverte, crea community effimere attorno a contenuti leggeri o mode passeggere.

  • Per virtù: quando il brand è coerente, utile, empatico, capace di costruire fiducia nel tempo. Senza scorciatoie. Senza “fare amicizia” solo per vendere.


Oggi, in un mercato affollato, non vince chi urla di più ma chi riesce ad essere trasmettere “significato” al pubblico. Vince chi sa costruire relazioni. E non c’è posizionamento più potente di un’identità che crea legami per virtù, e non per convenienza.


Aristotele, stratega relazionale


Ogni volta che comunichiamo – vale per il professionista o per un’azienda – stiamo definendo la qualità della relazione che vogliamo costruire con gli altri.

Anche nel marketing, nelle HR, nella leadership, si può agire per utilità, per piacere o per virtù. E i risultati cambiano.

-     Un brand che comunica solo per utilità punta a vendere, risolvere un problema, chiudere un funnel. È efficace? Sì. Ma è fragile. Cambia il prezzo, cambia il cliente.


-     Un brand che comunica per piacere crea empatia, intrattiene, diverte. Bene. Ma basta una distrazione, un silenzio, un errore e la relazione evapora.


-      Un brand (o un professionista) che sceglie la via della virtù, invece, costruisce qualcosa di raro: una connessione autentica. Non grida. Non promette l’impossibile. Non rincorre trend. Ma ascolta, si racconta con coerenza, si espone quando serve, è presente.


Chi lavora sulla propria identità, sia essa personale o aziendale, ha oggi una responsabilità enorme: scegliere il tipo di legame che vuole generare.

È un aspetto che vedo ogni giorno: i risultati più duraturi e significativi nascono da relazioni costruite per stima, per fiducia, per condivisione di valori. Sono quelle relazioni che costruiscono legami autentici con i propri collaboratori, clienti e stakeholder. E che, non a caso, resistono meglio alle crisi. Quelle che, per Aristotele, definivano l’amicizia più nobile.


Umanità e marketing: una contraddizione?


Probabilmente, questo post farà storcere il naso a qualcuno tanto da obiettare: “Belle parole. Ma, alla fine, il marketing serve a vendere. Punto.”

Ed è vero. Il marketing ha un obiettivo concreto: far conoscere, convincere, convertire. Ma “come” farai marketing resterà l’elemento differenziante. 

Perché è possibile:

-      vendere senza manipolare

-      comunicare senza sedurre con inganni

-      posizionarsi senza promettere ciò che non si è

-      costruire fiducia prima del bisogno, non solo per intercettarlo.


Essere umani non significa essere buonisti. Significa avere una visione: quella di un’economia basata non sullo sfruttamento della distrazione o della paura, ma sulla relazione, sulla reputazione e sulla verità.


Il punto è questo: l’etica non è un ostacolo al business, è una strategia a lungo termine. Chi si fida di te oggi, tornerà domani. E parlerà bene di te dopodomani. Chi si sente rispettato, sarà il primo dei tuoi ambassador.


Philip Kotler, riferimento indiscusso del marketing moderno, ha già da anni anticipato il passaggio da un marketing orientato al prodotto, al cliente, fino al valore umano e sociale e alla tecnologia al servizio dell’essere umano. Nel suo “Marketing 3.0” (2010) scrive: “I consumatori sono esseri umani completi con mente, cuore e spirito.” “Vogliono che le aziende contribuiscano al mondo in cui vivono.”


Il marketing è sempre più relazionale e reputazionale. In questo scenario, l’umanità non è un orpello poetico, ma una leva strategica.

Quindi sì, si può conciliare nobiltà e fatturato, umanesimo e marketing. Sì, il marketing serve a fatturare, ma non a vendere a tutti i costi. Serve a costruire valore, reputazione, fiducia che sono oggi fattori economici misurabili.

Scegliere di comunicare con autenticità non è una scelta romantica: è una strategia etica e competitiva.

Richiede più tempo? Sì. Ma genera clienti fedeli, collaboratori motivati, e lascia un’impronta.

 

 
 
 

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