Da dove cominciare per farsi vedere davvero?
- dambrosiomiki
- 3 mag
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 6 ago
C’è un momento della giornata, solitamente dopo un paio di scroll su LinkedIn o Instagram, in cui capita di avvertire una sottile fitta dietro lo sterno. No, non è acidità di stomaco: è la frustrazione.
Qualcuno pubblica un video brillante, qualcun altro annuncia una nuova collaborazione, un altro ancora svela un rebranding impeccabile, come se la propria immagine si fosse risvegliata un mattino con la pettinatura perfetta e una palette di colori coordinata.
E tu sei lì che ti chiedi: “Perché a me no? Perché io non emergo?”
Poi, leggi l’articolo di @Assunta Corbo “Se non ti si vede, non è colpa degli altri” e qualcosa ti si muove dentro. Non è rabbia. È chiarezza. La verità, detta con la gentilezza di chi conosce il mestiere, arriva dritta: la visibilità non è una grazia che cala dall’alto, è una responsabilità che parte da te. “La verità è che nessuno costruirà al posto nostro le relazioni e le opportunità che desideriamo.”
Innescare relazioni è una responsabilità personale. “Ogni conversazione avviata con sincerità, ogni articolo o video in cui condividiamo una nostra idea autentica, è un mattone che aggiungiamo al nostro ponte verso gli altri” evidenzia l’autrice. Affermazione ineccepibile, ancor più se hai compreso che attivarsi ed assumere l’atteggiamento della crescita è l’unico modo per migliorarsi. In fondo, come ha detto uno bravo (Albert Einstein) se continuiamo a fare le stesse cose allo stesso modo, continueremo ad avere gli stessi risultati.
Passare in azione, ma da dove si comincia?
Dal copiare (inutile) alla consapevolezza (urgente)
Dalla mia piccola esperienza, posso dire che la prima tappa – imprescindibile – è capire in che punto ci troviamo e dove intendiamo arrivare, smettendo di confrontarsi con gli altri perché tu non sei gli altri. Tu sei unico ed inimitabile! Spero che non aspiri a diventare la replica di qualcun altro. I social – lo sappiamo – sono una mostra permanente delle nostre migliori giornate. Nessuno, prima di andare in scena, espone i bozzetti ma solo i capolavori rifiniti.
La domanda corretta da farsi non è “Perché loro ci riescono?” ma “Io che valore ho da portare nel mondo?”
La partita del web ruota intorno ad un unico scopo, quello di ottenere l’attenzione. Bene, hai deciso di attivarti e guadagnare la tua parte di attenzione, anche grazie alla carica motivazionale di @Assunta Corbo.
Da dove si comincia? Prima di comunicare bisogna conoscersi. E conoscersi, a dispetto delle app che promettono risultati in tre click o degli autoproclamati guru che sfornano “guide definitive” su come emergere nel mondo digitale, richiede un tempo lento, domande scomode e il coraggio di stare fermi a riflettere per elaborare la consapevolezza di essere un brand capace di trasferire valore.
Ti ho parlato di domande scomode e mi spiego. La tua aspirazione è di essere percepito/a come una merce sostituibile, come un prodotto indifferenziato nello scaffale? O, invece, come quel professionista in grado di soddisfare un’esigenza? Se la risposta è la seconda – e lo spero per te – allora c’è un passaggio obbligato, anche se spesso evitato: l’introspezione.
È più di un esercizio, è un atto strategico. Perché prima di decidere come posizionarti, devi capire chi sei.
Solo partendo da una riflessione sincera – scomoda ma illuminante – possiamo riconoscere il nostro vero valore. Oltre il curriculum. Valore che si percepisce, che si trasmette e si ricorda.
Chi sono io, davvero? Cosa so fare bene? Qual è la mia promessa di valore? Perché quello che so fare può essere utile ad altri?
Sembrano più domande socratiche che da strategist, ma sono il “punto zero” per qualsiasi progetto di Personal Branding che vada oltre una vetrina patinata. È da qui che prende forma una strategia di Personal Branding autentica, capace di generare fiducia nel tempo.
La buona notizia è che se non sei indirizzato ad un pubblico che sceglie chi grida di più (e non saprei come aiutarti), sei già ad un buon punto per risuonare con ciò che cerca. Ma non potrai risuonare con il tuo pubblico se non sei sintonizzato con te stesso.
Il punto di partenza non è fuori. È dentro.
“Fare Personal Branding significa gestire in modo strategico la propria immagine professionale. Dimostrare e comunicare gli aspetti che ti rendono rilevante per le persone che intendi influenzare. La tua promessa di valore.”
Molti iniziano il percorso della visibilità partendo da fuori: logo, sito, feed, tone of voice. Tutto utile, per carità. Ma se non hai chiaro chi sei e cosa vuoi che gli altri ricordino di te, il rischio è quello di somigliare a mille altri (indifferenziati), come quei ristoranti con insegna luminosa ma la sala vuota.
A mio modesto parere, invece, serve un’altra prospettiva. Un altro tempo. Un Rinascimento Relazionale, come mi piace chiamarlo. Un ritorno ad una comunicazione - gentile e leale - che non sia solo contenuto, ma contatto. Che non abbia come obiettivo “l’essere virali”, ma “l’essere veri”.
Nonostante un mondo chiassoso ed affollato, ognuno può guadagnarsi il suo spazio. Il punto è che non è detto che sia uno spazio riconoscibile e distinto. La sfida è essere percepiti come unici e utili in quel campo; l’unicità è il prodotto della coerenza tra quello che dici e quello che sei. È la materia di cui è fatta una reputazione solida.
Ecco perché, prima ancora di farsi vedere, bisognerebbe farsi domande. Quelle giuste.
Farsi vedere senza perdere sé stessi
La visibilità non è una trappola se nasce dalla consapevolezza. Non è un trucco per ottenere attenzioni, ma un canale per offrire valore. È, in fondo, un atto di gentilezza verso chi cerca qualcuno come te, ma non sa ancora che esisti.
E allora sì, @Assunta Corbo ha ragione: se non ti si vede, non è colpa degli altri. E aggiungerei: se non ti conosci, non potrai mai farti vedere nel modo giusto.
Comincia da lì. Dalle domande. Dalla tua voce. Dai tuoi valori. Perché la visibilità che funziona è quella che nasce da dentro. Tutto il resto è solo rumore.



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